12 October 2006

Due gechi per salvarti dall’essere pixelicida

Esattamente dieci anni fa veniva lanciato sul mercato il Tamagotchi. Altro non era che un animaletto virtuale, un pulcino per l’esattezza, che andava accudito, nutrito, educato e credo anche …pulito, ma su questo, non voglio approfondire. In caso di trascuratezza da parte del tutore-proprietario, il Tamagotchi poteva anche morire, gettando nel massimo sconforto il padre o la madre adottivi. In verità, non si trattava solo di un gioco educativo (e un poco spietato), ma di uno strumento per mettere alla prova un certo senso di responsabilità. Questo pulcino virtuale in qualche modo arrivava a colmare quel bisogno che sentiamo, a livello conscio o no, di prenderci cura di qualcuno o qualcosa nella vita di ogni giorno, al di fuori di noi stessi. Un altro esempio erano i Cercafamiglia della Harbert, una delle prime aziende di giocattoli a pensare a prodotti per aspiranti cuochi come il Dolceneve per fare il gelato o il DolceForno (mia sorella lo aveva, ed io ci facevo le torte a base di Nesquick).
I Cercafamiglia mi conquistarono. Ne chiesi uno a Natale e adottai così Tobia, un bracco di pezza, color marrone chiaro con grandi macchie più scure e un collarino a forma di osso con il suo e il mio nome.
I Cercafamiglia non ci sono più ma, a breve sul mercato ci sarà un’altra novità (o mostruosità). Si chiama Pixel Chix ed è una sorta di compagna di giochi o amica virtuale che interagisce, mangia, parla, dorme e balla, la via di mezzo tra un Tamagotchi e una Barbie. Vive in una casa tridimensionale che a scelta può essere un loft all’ultima moda, un cottage di campagna o una villa sontuosa. Ha anche una macchina virtuale ovviamente, rosa, lilla o blu. Fin qui, potrei odiarla solo per dove vive. Quel che è peggio è che la simpatica, irriverente e ironica Pixel Chix sembra avere anche la battuta pronta, tanto da arrivare a rispondere male nel caso in cui non le piaccia il vestito con cui deve uscire o se viene spedita a dormire presto. Non solo. Se si sente trascurata si potrebbe intristire, potrebbe riempire la casa di ragnatele, fare le valigie e andarsene sbattendo la porta. Come c****** si fa ad avere voglia di interagire con un’amica virtuale del genere? Io ci giocherei cinque minuti, poi ce la manderei di sana pianta. Passi il Tamagotchi, il Cercafamiglia, ma una Pixel Chix in casa mia non entrerà mai. Prendersi cura di chi o cosa allora? Una prima soluzione mi è stata data pochi giorni fa, da un’amica: lei e il suo compagno hanno appena costruito un terraio in casa per ospitare a breve, due gechi. Se la decisione di convivere con un geco, un cincillà, un criceto o un furetto o qualsiasi altra forma animale non è una, anche solo stitica, dimostrazione di volersi prendere cura di qualcuno, dovete spiegarmi quali sono le motivazioni di base di tale scelta. Passi un cane, un gatto, un coniglio, qualcosa che sia morbido da accarezzare, ma dei gechi. E poi, questo bisogno di responsabilizzarsi così tanto da volersi prendere cura anche di un’altra entità, oltre all’essere vivente con cui già ci si sveglia e ci si addormenta ogni santo giorno? Sarà per questo che poi si fanno anche dei figli? Finora, nella mia vita mi sono occupata di due pesci rossi, Pippo e Poldo, di una pappagallina che avevo chiamato Margie e di Achille, ovviamente. Un geco non lo avevo ancora considerato. Una Pixel Chix, manco a morire, ora che la conosco. Dei lombrichi forse, ma solo a scopo utilitaristico per le piante di casa. Attualmente ospito da mesi una lumaca sul balcone. Potrei salvare dal luna park con il tiro a segno un coniglio o adottare un asino a distanza e andarlo a trovare nel fine settimana.

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