08 February 2007

Dueruotine

In principio fu il triciclo. Le prime spinte con i piedi a terra, prima di capire il complesso meccanismo dei pedali sulla ruota anteriore, le ricordo su un triciclo rosso fiammante. Il passaggio successivo è stato su una biciclettina gialla da cross, a quattro anni. In verità di cross ne facevo poco perché, non sapendo ancora coordinarmi sul mezzo, la suddetta bici era accessoriata con due ruotine cigolanti per rimanere in equilibrio. Fino al giorno in cui, ormai iscritta alla scuola dell’obbligo, decisi che era arrivato il momento di imparare ad andare in bicicletta. Ruotine alle spalle (nel senso che me ne liberai, perché fisicamente già stavano lì), mi misi di impegno nel cortile di casa con mia madre impegnata a reggermi (in ogni senso) sulla bicicletta di mia sorella, una Graziella color argento. Qualcuno dice che sia un colore da vecchi, ma preciso: era un Silver Galaxy.
Ci sono diverse modalità di insegnare ad andare in bici, secondo la tecnica adottata dall’insegnante:
a) la completa (ossia tenuta di manubrio e sella), tecnica che conferisce sicurezza al manovratore di manubrio principiante
b) la parziale (solo sella)
c) la spinta da dietro (soluzione suicida per l’aspirante biciclettaro)

Fortunatamente non ci misi molto a imparare e negli anni a venire mi dilettai su altri mezzi a ruota: i pattini Gioca, lo skateboard, il Pedalò che si vinceva con dieci incarti di Ciocorì&Biancorì. Niente a che vedere con il pedalò o pattíno tipico della Riviera Romagnola, nossignore. Il pedalò cui mi riferisco era un trabiccolo infernale con quattro ruote, il cui utilizzo permetteva di muoversi alla velocità di duecento metri l’ora se andava bene. (“Compagni roditori, fatico a pedalare, mi devo sgranocchiare un dolce Ciocorì” il jingle della pubblicità ndr). Tornando alle ruote, in pubertà i tempi furono maturi per un RX50 Aprilia, acquistato usato. Unico problema: un’accensione elettrica un po’ dispettosa e di pedivella, neppure l’ombra. Così più di una volta mi vidi costretta a rincorse sulle mie gambe con manubrio in mano e leva della frizione pigiata o discese libere per la rampa del box, nell’arduo tentativo di non schiantarmi contro il garage di qualche vicino di casa. Un mio amico un giorno mi regalò una grande verità: le moto sono come le donne, una volta che ne hai provata, ne vuoi già un’altra. Non passò troppa acqua sotto i ponti perché acquistassi uno scooter: uno Scarabeo 50. Rubato. Già. Annuncio su Secondamano, incontro con losco individuo vicino a Piazza Lodi, scambio scooter-contanti sul marciapiede, non proprio davanti a casa, come tenne a precisare il venditore improvvisato del mezzo. Una minima differenza di una cifra (era poi solo uno “0” ) tra il libretto di circolazione e il telaio, mi insinuò il dubbio che probabilmente il mezzo fosse rubato; la scomparsa poi improvvisa del truffaldino, nei giorni successivi l’atto di acquisto-vendita, degna di una puntata interamente dedicata di Chi l’ha visto? non fece che dare adito ai miei pensieri. Negli anni ho testato altri veicoli di spostamento: monopattini, rollerblade, pattini a rotelle a scomparsa (sì, quelle che spariscono nella suola delle scarpe), ma le due ruote a benzina non temono concorrenza. Scorrazzare per le strade della città senza paura di far tardi, senza una meta, le giornate che iniziano ad allungarsi, l’aria fresca in viso (purché non vi troviate in tangenziale o in centro città) e qualcuno che non stia in mezzo alla strada (cazz..#!%# @!!) sono sensazioni uniche che ti portano a pensare…quand’è che mi compro una moto?

2 Comments:

Anonymous Anonymous said...

mmhhhhh.....

8:15 AM

 
Blogger Dr. Pippity said...

Di solito fanno: "Brumm...brum" :-)

8:36 AM

 

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