29 March 2007

L’abito non fa il monaco, ma l’impiegato sì

Nei giorni scorsi, la casa editrice per cui lavoro, si è trasferita in una nuova sede. Per quanto i dipendenti non si siano dovuti occupare del trasloco, ma che per questo sia sopraggiunto in loco il cargo dei F.lli Molinari & traslochi, ciascun dipendente si è occupato dell’imballaggio e dello sballaggio delle cose personali.
Per cose personali si intendono oggetti vari, indispensabili sul lavoro come la fotografia incorniciata del furetto, la mug portamatite, le sorpresine dell’ovetto Kinder sistemate in fila sul monitor, spazzolino e dentifricio postprandiali e le foto del neonato di famiglia attaccate a mo’ di tappezzeria dietro la scrivania, quando già non ne compare una come sfondo del desktop.
Mentre preparavo il mio scatolone sentendomi un po’ una Melanie Griffith appena licenziata in Una donna in carriera, ho scambiato uno dell’amministrazione per uno dei fratelli Molinari. Non che ci somigliasse, più che altro per come era vestito. Questo collega è un tipo molto silenzioso (rara qualità negli ambienti lavorativi), molto riservato, sempre in giacca e cravatta. Tuttavia per l’occasione, venerdì si è sentito finalmente libero di rispettare l’usanza del Casual Friday e di presentarsi in ufficio in jeans e New Balance ai piedi. Questo… venerdì. Dopo il week-end lunedì è tornato in jeans e New Balance. Martedì, jeans e New Balance.
Tre Casual Days impiegati in attività che nulla hanno avuto a che fare con i paduli amministrativi, e il giovane amministrativo si è calato a perfezione nella parte del capocantiere e dell’addetto traslochi.
Ma quello che più mi ha colpito è che aveva cambiato faccia. Potete immaginare l’espressione stampata in viso del collega appena tornato da una settimana a Santo Domingo? Destinata sì , a sparire dopo dieci minuti di lavoro, dopo la prima telefonata di uno scassa-bip e dopo il primo caffè della macchinetta ma, inizialmente, distesa e serafica.
Dalla mia scrivania l’ho visto passare con cassette degli attrezzi, quasi portasse in mano una confezione di Meccano appena ricevuta a Natale; è passato con scatoloni, lampadine, rotoli di carta igienica per non lasciare sforniti i bagni nuovi, ma sempre con una serenità da centro villeggiatura Hatha Yoga. Finchè, nel giorno dell’inaugurazione ufficiale della nuova sede, non l’ho rivisto in giacca e cravatta, senza Meccano e già sfrattato dal Nirvana raggiunto in New Balance.
Questo mi fa pensare davvero che tutto possa ricondursi all’abito che si è costretti a indossare per presentarsi in ufficio ogni giorno, perché se fosse per l’impiego vero e proprio, sarebbe ancora più grave e finirebbe in breve tempo in un altissimo consumo di Prozac. Se penso alle divise poi, capisco come mai i dipendenti di McDonald’s non siano cosi cortesi con i clienti e perché quelli di Blockbuster tentino sempre di farti pagare un ritardo di consegna (ma solo quando ti ripresenti la volta successiva e ormai ti sei scordato se effettivamente eri in ritardo nel restituire il DVD). La divisa non piace a nessuno. Certo ti toglie dall’impiccio di dover pensare ogni giorno a cosa metterti per andare a lavorare, ma riporta la memoria al tanto odiato grembiule delle elementari. Giacca & C. renderanno un individuo più presentabile, oltre a nascondere la panzetta di certi personaggi, ma se delle New Balance tolgono il grigiore dell’essere impiegato, ben vengano. Non c’è cosa peggiore che mettersi nei panni degli altri (quelli che ti impone il tuo datore di lavoro). E non c'è cosa peggiore che imporsi di essere qualcun'altro, quando si è in mezzo ad altre persone.

13 Comments:

Blogger Scettico said...

E' possibile non imporsi di essere qualcun altro quando si è insieme ad altre persone? mmm....

5:26 AM

 
Blogger Dr. Pippity said...

Sei scettico? :-)

12:50 AM

 
Anonymous Anonymous said...

wow!!

4:28 AM

 
Anonymous Anonymous said...

è possibile credere nelle proprie idee .. questo potrebbe bastare per essere se stessi sempre !
più facile a dirsi che a farsi ...

1:44 AM

 
Blogger Dr. Pippity said...

Mi sembra di capire che sul posto di lavoro sia difficile essere se stessi per i seguenti motivi:

a)convivenza forzata con gente estranea (Teoria de lo Scettico)

b)sfiducia e non coerenza con le proprie idee, dal momento che il 98 per cento degli impiegati si lamenta del proprio posto di lavoro ma non lo cambia (Teoria de lo Babok)

c) ma l'espressione wowesca di Alberto mi fa capire che è già tanto se ci si riesce a vestire come cacchio si vuole...

5:31 AM

 
Anonymous Anonymous said...

teoria del Babok ... mi piace di più !

il fatto è che probabilmente la vita in ufficio è soltanto un qualcosa che ci permette di avere poi una nostra vita ... quindi il compromesso è sempredietro l'angolo !

7:04 AM

 
Anonymous Anonymous said...

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7:50 AM

 
Anonymous Anonymous said...

I colleghi di lavoro non te li scegli, semplicemente ti capitano, e nella maggior parte dei casi con loro condividi un pavimento, dell'aria e delle pinzatrici... Puoi essere fortunato, e trovare persone simpatiche e piacevoli, come è capitato a me, ma in ogni caso è difficile essere comunque sè stessi, sia per le dinamiche professionali in senso stretto, che per la natura steesa di un rapporto con le persone con le quali passi la maggior parte del tempo, ma alle quale pensi il meno possibile durante il tempo libero, mentre lavorando capita di pensare ad amici ed amati...
Ma è poi vero che anche al di fuori dell'ufficio si sia sempre sè stessi? Non vi pare che la vita a volte sia un palcoscenico, e che si reciti una parte, in maniera inconscia, per cercare di apparire al meglio, o per non far soffrire qualcuno, o per ottenere qualcosa? Quando ci sforziamo di essere noi stessi, siamo davvero noi stessi o siamo la proiezione di quello che vorremo essere? Insomma, quando si capisce se siamo noi stessi,e quando invece siamo quello che vogliamo convincerci di essere? E perchè se noi siamo convinti di essere in un determinato modo, gli altri hanno visioni completamente diverse? A questo punto, chi ha ragione? Noi che ci convinciamo di essere in un determinato modo, o chi ci vede e ritiene che siamo diversi? Rendendo tutto più complicato, oltretutto!
E poi, in un mondo come il nostro, con mille sfaccettature, sarebbe possibile mantenere un'identità di giudizio sempre uguale? E se ci rendiamo poi conto che crediamo si nelle nostre idee, ma che quelle stesse idee sono sbagliate? Allora dovremmo cambiare, e saremmo noi stessi a quel punto? O noi stessi v.2.0?

8:02 AM

 
Blogger Scettico said...

Meno male... mi sono risparmiato di scriverlo io :)
Volendo semplificare si potrebbe dire che la nostra identità è la somma (o meglio il prodotto) di quello che siamo in tutte le diverse situazioni della nostra vita e nei rapporti con persone diverse... è logico che esistano un "se stesso" lavorativo e un "se stesso" stravaccato sulla poltrona in pigiama e pantofole, pretendere che coincidano non mi sembra né possibile né giusto :)

8:42 AM

 
Anonymous Anonymous said...

tutto giusto o tutto sbagliato dipende dalla "sfaccettatura" in cui lo guardo :-)
siamo fondamentalmente il prodotto di ciò che ci circonda ... del nostro vissuto ... e di quello che vogliamo apparire ! probabilmente ognuno di noi ha difficoltà a riconoscersi .... e nel qual caso probabilmente non riuscirà a condividere con nessun altro questo privilegio

9:44 AM

 
Anonymous Anonymous said...

il wow stava per ".bit. finalmente hai capito che tenedevi frega..." ....insomma, non andare in sbattimento!!!
un'amico mi disse... "rimani così che lo sei......" sarà vero?

12:51 PM

 
Blogger nonsolopigro said...

Tu sei quello che tu vuoi
Ma non sai quello che tu sei

3:19 AM

 
Anonymous Anonymous said...

Well said.

3:14 AM

 

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