12 May 2008

Mesi luglio-agosto: affittasi Ashram... con bagno

Occorrono quattro tazze di latte, mezza tazza di panna fresca, un terzo di tazza di zucchero, un terzo di tazza di noce di cocco grattuggiata e un bastoncino di vaniglia (o un pizzico di vanillina). In una grande padella si versa latte e panna. Si porta a ebollizione a fiamma moderata rimescolando di tanto in tanto e grattando il fondo della pentola (antiaderente, altrimenti gli ossessionati delle potenzialità cancerogene delle padelle vi saltano al collo, e vi ammazzano loro, non il cancro). Si lascia bollire il latte per mezz'ora circa. Quando il latte inizia a essere denso, si aggiunge zucchero e vaniglia. Si lascia sul fuoco continuando a mescolare finchè non si passa a immergere un po' del composto in acqua fredda: se si formano della palline soffici, è arrivato il momento di aggiungere noce di cocco e si lascia cuocere altri tre minuti. Si versa il tutto in una tortiera dandogli la forma di un quadrato di pochi centimentri di spessore. Si lascia raffreddare e si serve a temperatura ambiente, a cubetti. Questo è il burfy alla noce di cocco, un tipico dolce indiano. E se per una volta mi sono trasformata in Antonella Clerici de “La prova del cuoco” è perchè il Burfy è davvero squisito. La verità è che di recente mi sono ritrovata a pranzare sul pavimento di un'associazione culturale dove stavo seguendo un corso di Reiki. Pranzo ovviamente vegetariano, dove ci sono state presentate pietanze della cucina tradizionale indiana: riso alla cannella, un composto strano di ceci e lenticchie, verdura apparentemente occidentalizzata ma insaporita da quale spezia misteriosa; il tutto accompagnato da una tisana alla cannella e allo zenzero.
Posso dire davvero di aver apprezzato tutto quanto e, al momento dell'indy dessert, di aver fatto anche il bis con questo tortino al cocco, che ora scopro chiamarsi burfy, e che a breve mi metterò a cucinare tra le mura domestiche. A vedere la ricetta non sembra così complicato, anzi. A me ricorda tanto la medesima preparazione ed esperienza culinarie necessarie per scaldare qualche cosa con il Dolce Forno della Harbert. Devo essere sincera: dopo questo pranzo domenicale (il brunch è cosa ormai superata), per circa sette giorni ho fatto spesso avanti e indietro dalla (finemente detta) salle de bains, ma c'è anche chi interpreta questa "liberazione" come depurazione del corpo e dello spirito.
Perchè poi funziona così: si inizia con bruciacchiare dell'incenso in casa, a bere tisane di ogni tipo per drenare, depurare e sgonfiare, non si disdegna il pollo al curry della mensa aziendale e ci si iscrive a un corso di yoga. Fino a quando un giorno, alle vacanze a Bordighera, non si preferisce un periodo di meditazione in qualche Ashram sulle colline abruzzesi.
In tutto questo dove sono? Direo che sono tra il chutney e il curry, con una ventina di minuti di meditazione giornaliera e un viaggio in India da organizzare per natale. E posso confermare che il cibo indiano non mi farà mai male quanto i funghi...