27 December 2006

Buh!

Ore18.30. Per un attimo ho temuto di trasformarmi in Sullivan di “Monsters & co.”. Quinto piano. Suono il campanello e sul pianerottolo spunta un esserino deambulante che mi guarda dritto in faccia, sorridendo. Dietro, la mia cara amica d’università, da un anno… mamma. Entro e il mio tricheco di peluche, esemplare di animale accuratamente scelto dallo scaffale dei grandi magazzini (orsi o conigli sono ormai superati), va a fare compagnia a un grande ippopotamo Ikea, comodamente seduto sul divano di casa, impegnato a supervisionare lo sterminato parco divertimenti che domina la stanza. Non manca niente: si va dall’ultima novità Chicco che riproduce ogni tipo di suono, alla versione anni Ottanta del Grande Goldrake (appartenuta al padre con ogni probabilità), da autoveicoli con ruote giganti a grandi larve a dondolo (o forse era un bruco?). Il problema di andare a trovare una vecchia amica-ormai mamma è solo la scelta dell’orario. Perché tutto sta nel riuscire a parlare ancora, con la vecchia amica. Sembra cosa facile, ma non lo è, garantisco. Arrivare alle 18.30, è una buona idea. Tempo mezz’ora, è ora di cena (dell’esserino, non la vostra), fase in cui Lui è legato e immobilizzato nel seggiolone, oltretutto impegnato nell’atto di sfamarsi con pappe a base di semola, miglio o avena, e verdure abilmente sminuzzate in pezzi micron. Ore 19, Lui torna libero. Libero per girare in casa, passare da un gioco all’altro, correre dietro al povero gatto di casa, rischiare almeno 14 volte di sbattere la testa contro il tavolo della cucina e spargere per la casa confezioni di biscotti Plasmon e qualunque altra cosa possa capitargli davanti agli occhi. Tutto questo, mentre l’amica-mamma lo affida alla sottoscritta, mentre lei si occupa di: confezionare mini vasetti di vetro con tacchino sminuzzato da mettere in freezer, sistemare qualche piatto in lavastoviglie, dare una passata di Mocio Vileda per terra e dare da mangiare al gatto su di giri per essere stato inseguito fino a quel momento dall’esserino alto 50 cm.
Ore 20: ora del bagnetto. Questa fase dovrebbe dargli il K.O. finale. Acqua calda in vasca tra mille oggetti non identificati galleggianti, un colpetto di phon per asciugare i quattro capelli in testa, unzione di olio alla lavanda che manco Tiberio Sempronio di “Quo Vadis” di Sienkiewicz se poteva sognà, pigiamino modello Maggie Simpson e i giochi sono fatti, Il Pupo è pronto per il mondo dei sogni, e noi (la mamma e la sottoscritta in visita) abbiamo tutto il tempo per raccontarci le ultime novità. Voce bassa, orecchio teso per sentire se dalla stanzetta del pargolo giunge qualche gemito, pianto o grida funeste. E’ in quel momento che verso l’amica è impossibile non avere un’estrema ammirazione, mista all’incredulità di come una vita possa drasticamente cambiare in seguito ad uno spermatozoo che taglia il traguardo di una 400 metri a ostacoli. Diventare genitori deve essere proprio tutto quello che ho visto, mentre, sbalordita, buttavo giù due bicchieri di vin brulè per cercare di riprendermi.
Ho sentito dire che chi non vuole avere figli, in sostanza, non vuole lasciare il proprio ruolo di figlio. Sarà. Ad oggi non mi è ancora chiaro però, quale dei due ruoli, genitore o figlio, sia più complicato. L’unica certezza? Non mi sono spuntate squame sulla schiena, né peli color verde e lilla su tutto il corpo né corna sulla testa.

21 December 2006

Incontri segreti tra cappelli a punta e baschi in testa

Tira aria di incontri segreti. Non mi riferisco a quelli che potrebbero essere facilmente organizzati in questi giorni all’interno di un taxi nel centro della città, visto che grazie alla frenesia prenatalizia, si impiegano almeno tre quarti d’ora per percorrere poco più di due chilometri.
Pensavo più che altro alla notizia riportata su un quotidiano di oggi nelle pagine Esteri, sul primo incontro segreto tra ETA e governo spagnolo, con tanto di foto che riporta tre tizi seduti a un tavolo, dall’aspetto inquietante, incappucciati sì, ma con tanto di basco in testa. Di disastri ne hanno combinati questi qui dell’ETA, tra cariche esplosive, autobombe e rapimenti, si sono fatti una certa propaganda. Un paio di anni fa, sul treno che da Nizza mi avrebbe portato a Biarritz la mattina successiva, viaggiavo in compagnia di un signore sulla cinquantina, più basco che mai. La preoccupazione nel leggere sulla mia Lonely Planet (acquistata appositamente per le vacanze estive che mi accingevo a fare nella Spagna del Nord) il numero delle vittime dovute al movimento separatista, mi spinse ad affrontare la questione con lui. E come commentò questo signore? “Sì, attentati ne hanno fatti, però hanno sempre avvertito”. Ah beh! Allora diamogli un panettone Melegatti in premio, questi almeno la gente la avvertono prima di farla saltare in aria., non come i fondamentalisti islamici che si autoesplodono facendo una sorpresa a tutti quanti, come uova di pasqua.
Cosa poi alquanto imbarazzante è come, sotto la notizia di questo incontro segreto e di un breve memorandum circa le malefatte di questi uomini col baschetto in testa, compaia una quasi mezza pagina di pubblicità dell’Ufficio del Turismo Spagnolo che titola: “Sorridi! Sei in Spagna”. Già, aspetta che prenoto subito un volo tratta Milano-Bilbao, che se per caso questi non trovano un accordo, festeggiamo tutti insieme il Capodanno in piazza con petardi e miccette. Oggi è anche il 21 dicembre. Solstizio d’inverno. Embè, direte voi? Per chi non lo sapesse, oggi è il giorno più breve dell’anno ed è la festa di Yule, una festa neopagana, o in poche parole, un sabba (ma in questo clima di Babbi Natale, renne e nani sorridenti non vorrei spaventare nessuno). In alcune tradizioni si commemora la morte del Re Agrifoglio per mano del Re Quercia, tutto per simboleggiare la fine dell’anno in corso e l’arrivo di quello nuovo. Come si festeggia? Bisognerebbe alzarsi prima dell’alba per vedere sorgere il sole e brindare al suo ritorno con del succo di mela (cosa che, stamattina, ho fatto con una tazza di caffè e uan spremuta d’arancia). Bisognerebbe poi decorare dei ceppi di quercia con dei sempreverde. Trovare una quercia è già difficile, figurarsi un ceppo (questo, infatti,non l’ho fatto). Infine, preparare delle ghirlande, con rametti di abete (quelli li recupero fuori dal deposito alberi di natale di IKEA) e di agrifoglio (questi dalla porta del vicino di casa al pianoterra). Al centro va messa un’arancia con 13 chiodi di garofano, si aggiungono 3 pigne (sempre recuperate dalla coroncina natalizia del vicinato) e una candela bianca, il tutto spruzzato con polvere dorata. Che sarà mai? Si può sempre riciclare come centrotavola a San Silvestro.

18 December 2006

Mai preparato una cena a base di Kottbullar?

Se scrivo Kottbullar, a cosa pensate? Di esservi persi qualche elezione presidenziale nelle pagine di cronaca estera, a uno scatenato artista contemporaneo olandese, a qualche incrocio canino tra due diverse razze? In verità, le Kottbullar sono le polpette di carne della Bottega Svedese di IKEA, il simbolo della gastronomia nazionale, a detta loro. In principio erano vendute in confezioni a misura di freezer di un italiano medio, adesso sono vendute in confezioni da un chilo, ma non mi sorprenderei se a qualche cervello nordico venisse l’idea di farne maxi pacchetti imitando le confezioni formato “Carica dei 101” di Pal o Ciappi. Queste polpettine di carne sono la cosa tanto più rapida da cucinare, quanto più lunga da digerire. Per chi si trovasse a mangiarle ci sono due opzioni: riuscire ad addormentarsi entro le tre di notte se sono accompagnate con marmellata di mirtilli, notte insonne se accompagnate con una panna indicata appositamente per l’ottima resa di questo piattino svedese.
La verità è che i mobili di IKEA sono una copertura. Il successo della casa svedese è originato dalla bottega e dal ristorante. Mi stranisce come, in questi giorni, mentre all’esterno del negozio venivano distribuiti alberelli per favorire il recupero delle aree boschive, in puro spirito svedese, al banco self-service del ristorante veniva servito Rollè di renna. Siamo impazziti? Nei cestoni dei peluche i bambini pescano felici e contenti alci e animaletti nordici di ogni sorta e poi gli servi da mangiare Rollè di renna? Questo da IKEA non me lo sarei mai aspettato.
Se non amate la renna o le polpette, ci sono salmone e aringhe (da quelle parti si pesca parecchio). Peccato che le aringhe siano immerse in un vasetto di senape, e forse, anche queste sono un tantino pesanti da digerire. Ad ogni modo, pochi giorni fa, non ho saputo resistere. Crollata di fronte alla tradizionale e consueta confezione di latta da 2,90 euro di biscottini Annas allo zenzero - in super confezione natalizia, decorata con gnometti nordici -, non ho neppure resistito davanti a una bottiglia di Glögg, vino gradazione alcolica 12°, da servire caldo, in pratica il nostro Vin Brulè.
Pensando al resto della cena mi sono comprata del salmone. Mi sono limitata alla confezione mini da 50g che, ne sono cosciente, una volta aperta si tradurrà in una fetta striminzita da disporre ingegnosamente su una fetta di toast, nel tentativo di far combaciare gli angoli di pane e salmone, arrivando anche a usare il coltello per spalmare meglio la simbolica porzione. Di verdure neanche l’ombra, d’altronde da quelle parti c’è solo tundra e foreste. Cosa mangiano gli svedesi di contorno? Forse qualche fungo, ma nella Bottega Svedese non ne ho visti. Formaggio? Perché no? Quello che ho visto era una sorta di suola, colore giallo, la stessa che si trova nascosta nel panino servito su voli Lufthansa. Il reparto dolci però non delude. Biscotti allo zenzero, cannella e cardamomo, muffins ai frutti rossi, semifreddi al cioccolato e torte ricoperte di glassa verde prato. I Gifflar sono i Numero Uno. Sono dei dolcetti alla cannella arrotolati su se stessi, tipo ministrudel, da servire caldi per apprezzarne al meglio il gusto, magari con del Glögg, mi azzarderei a suggerire. A Natale hanno pensato bene di vendere una casetta di biscotti da costruire, un po’ alla Hansel e Gretel, la mia non resisterebbe più di una capanna di bambù sotto l’onda di uno Tsunami.
Il reparto per alcolizzati, quelli che non riescono a montare un cagatissimo mobiletto seguendo le istruzioni di montaggio IKEA, fatte di sole vignette senza una parola scritta, offre di tutto: grappe, liquori, bevande e sciroppi al sambuco. Ideale per distruggere le Kottbullar sedimentate sul piloro.

12 December 2006

Il mio nome è Ogina Knaus

C’è la terapia Kneipp. C’è il dado Knorr. E c’è il metodo Ogino-Knaus. In verità, devo ammetterlo, ho sempre creduto che Ogino fosse il nome e Knaus il cognome. Non so, uno dei tanti immigrati in qualche cantone svizzero, o un personaggio tratto da un film di Pieraccioni abituato a sentirsi chiamare tra i campi di grano dai colleghi contadini “O’ginooooooooo…”
Invece no. Il metodo anticoncezionale Ogino-Knaus è frutto della collaborazione di un medico giapponese, Kyusaku Ogino per l’appunto, e di un medico austriaco, Hermann Knaus. Io posso dire di essere estremamente riconoscente a questi due uomini perché, se sono al mondo, è merito loro. O meglio, per merito dell’interpretazione personale del suddetto metodo di mia madre, semplificata al non avere rapporti nei cinque giorni precedenti e successivi al ciclo. Ad ogni modo, il metodo è a tutti gli effetti considerato poco sicuro, poco affidabile e sconsigliabile, un po’ come appoggiare i bagagli su un marciapiede a Mergellina e voltargli le spalle. Sì, decisamente sconsigliabile, anche senza le libere interpretazioni dell’universo femminile. A distanza di circa vent’anni dal giorno della mia nascita, però, viene lanciato un nuovo sistema di contraccezione chiamato Persona. Un simpatico marchingegno che consiste in un monitor e dei test usa e getta per conoscere i giorni fertili del proprio ciclo.
Da non credere! Da quello che ho capito (il metodo mi è stato illustrato a spizzichi e bocconi da una vicina di casa sul pianerottolo), basta prendersi la briga per otto mattine filate, possibilmente alla stessa ora, di fare pipì su uno di questi test-stick, inserirli nella computerino e al resto ci pensa lui. Il mio entusiasmo iniziale per la trovata geniale ha lasciato a poco a poco spazio a qualche perplessità, pensando alle difficoltà e alla rottura di scatole a cui in realtà si va incontro. Già è un’impresa alzarsi dal letto, dirigersi in bagno senza sbattere contro porte e spigoli, causa sonno e nel mio caso, accentuato astigmatismo, ma non oso immaginare la fatica per centrare uno stick che non credo più grande del righello che usavo in quinta elementare. Fosse solo una questione di mira. Vogliamo parlare di una vita condizionata da una lucina rossa accesa nei giorni fertili? Ho l’incubo di quella dell’olio del motore, se dovessi svegliarmi con Persona che, puntuale come un bollettino dell’Ansa prima di colazione mi rende partecipe di cosa sta succedendo alle mie ovaie, non so se riuscirei a uscire di casa. Per funzionare, funziona, danno addirittura il 94 per cento di affidabilità. Se poi viene usato, contrariamente ad ogni regola del Codice della Strada per premere l’acceleratore in caso di semaforo rosso, il tiro al piattello mattutino non pesa più di tanto.
Ma poi, se i problemi fossero solo all’inizio di una gravidanza saremmo a posto. Per quanto mi riguarda, ce ne sono stati anche alla fine. Il giorno in cui era prevista la mia apparizione in sala parto, il ginecologo di mia madre aveva programmato una bella vacanza con famiglia al seguito. Ecco come, non solo sono figlia di Ogino Knaus, ma la mia nascita è stata anche anticipata di qualche giorno, per permettere a quest’uomo di andarsene in ferie. Non mi sorprenderei se si fosse presentato in sala parto con bermuda, camicia hawaiana e infradito tirandomi per la testa per farmi uscire prima.

05 December 2006

Guardati alle spalle dall’orso Yoghi

Stamattina mi sono svegliata chiedendomi: dove sarà Achille? Stai a vedere che prima o poi mi tocca andare su RaiTre a “Chi l’ha visto?” se non si fa vivo prima lui.
Ma i gatti hanno 7 vite, questo lo dicono un po’ tutti e mi lascia più tranquilla. Gli orsi ne hanno 27, questo lo dice Walter Moers, autore di “Le tredici vite e mezzo del Capitano Orso Blu”, e mi lascia più dubbiosa. Se fosse così, tuttavia, potremmo stare sereni visto che allo stato attuale gli orsi rischiano di sparire dal pianeta (hai voglia poi a rivolgerti a Federica Sciarelli e sperare che qualcuno chiami dicendo che ne ha visto uno passeggiare fuori dalla baita). Riguardo ciò, ho letto qualcosa nelle ultime pagine di un libro acquistato due giorni fa, “La strategia dell’orso” di Lothar Seiwert. Avete in mente quei libri che richiamano l’attenzione per la copertina, il nome dell’autore e che, senza accorgertene, ti ritrovi a pagare alla cassa, dopo aver letto sulla quarta di copertina frasi come: “Impara dagli orsi, la forza è nella calma”? Frasi ad effetto da mandare direttamente in soffitta, con un bel calcio assestato sul posteriore un personaggio come il saggio Yoda.
Così l’ho comprato. E l’ho letto. Un elogio alla grande calma degli orsi, all’arte del totale rilassamento di spirito e corpo, così come alla capacità di tirare fuori all’occorrenza forza e dinamismo per difendersi e cacciare. Perché mica sono scemi questi orsi, al momento sembrano morbidi, teneri, giocherelloni, ma se si incazzano, sono cavoli amari…
Insomma di strategia si parla, pensando alla forza, alla calma e alla saggezza degli orsi, soprattutto pensando a questa trovata dell’andarsene in letargo per quasi cinque mesi l’anno. Mica scemi davvero. Mi rintanerei pure io nella mia mansarda in attesa dello svernamento con gran scorte di mele, uscendo solo di tanto in tanto nelle giornate più soleggiate, per ricadere subito in un profondo torpore fino a primavera. Ma come dicevo, se si incazzano, sono guai. Tra le righe di questa favoletta, in realtà, si parla di come avere le contropalle sul lavoro, di affrontarlo con la testa più zen possibile e di come non pretendere troppo da sè. E stai a vedere che gli orsi c’hanno pure ragione! Che preoccupazioni, ansie e potenziali accoltellamenti brutali (in senso storico e di aggettivo) che metteresti in pratica alla macchinetta del caffè sono pensieri un poco paranoici. Questo Lothar poi, deve essere un bel tipo, anche se non di aspetto (vedi foto sul libro). Professore di economia aziendale, esperto di time-management e di risorse umane. L’unico perplessità è che Lothar nella prefazione al libro dichiara di collezionare nel suo giardino degli ORSETTI. Ed io che mi arrovellavo fino a ieri sul dilemma se fossero più psicopatici i collezionisti dei nanetti di Biancaneve o chi glieli fotte dal giardino per nasconderli in qualche bosco. E qui vedo confermata un’altra mia personale idea per cui certe persone, come le vediamo sul lavoro, non rispecchiano nella maniera più assoluta la loro vera natura, soprattutto se sembrano “normali” (a questo punto, probabilmente il mio AD colleziona Puffi nella credenza del salotto), tanto che un illustre Orso Yoghi si prodigava a rubare i cestini delle merende ai campeggiatori del parco Jellystone, indossando cappello e cravatta verde. Si sa, l’apparenza inganna, ma l’abito fa il monaco. Ad ogni modo, una volta abbandonato Winnie The Pooh (accuratamente ricorretto dopo essere stato trasformato dal correttore automatico di Word nell’orso trans Zinnie The Pooh) e l’indimenticabile Baloo de Il libro della giungla, questa è una favola che si legge con piacere. Chi l’avrebbe detto che finivo di parlare di orsi? La verità è che oggi stesso me ne andrei in letargo. Ci vediamo a marzo.
Siti dedicati agli orsi: www.baerenpark.de www.baerenwald.at

01 December 2006

A volte ritornano

No, non sto per parlare della prima antologia di racconti di Stephen King, né tanto meno di zombie, vampiri, spiritelli o creature tratte da qualche film dell’orrore. Altrimenti avrei postato almeno un mese fa, in occasione della festa di Halloween, dando anche qualche consiglio e suggerimento per trascorrere un Sabba felici e contenti (altro che Natale…). Non sto neppure parlando dei fratelli Righeira, anche perché quelli li avevano messi dentro, pertanto non so se possono tornare. Io mi riferisco ad un’altra categoria di esseri (seppur a volte mostruosi, se si è trattato di un grosso abbaglio), che non si sa come, sbucano all’improvviso come conigli dal cilindro di un prestigiatore. Chi sono? Gli ex. E se di ex storici non si tratta, può essere anche che ci sei uscita due o tre volte e che, come per magia, tornino a presentarsi senza aver capito che se ci sei uscita due o tre volte e mai più, forse una ragione c’era. Eccome.
Tutto è un ciclo. A dicembre tornano puntuali come orologi svizzeri zampognari, caldarroste e addobbi natalizi, a gennaio il bollo dell’auto e l’assicurazione, a febbraio zeppole e chiacchiere, a marzo o aprile uova di pasqua e conigli, ma questi… questi ritornano quando meno te lo aspetti. Si racconta che intorno all’anno 1077, un certo Enrico IV accorse a Canossa, un posticino in provincia di Reggio Emilia. Qui, una volta indossato un umile saio, scalzo nella neve attese fuori dal castello di Canossa per ben tre giorni, prima che il papa si decidesse ad ammetterlo alla sua presenza e a revocargli la scomunica. In questo caso, se si parla di ex, potete scomunicarli quanto volete nella vostra testa, ma questi prima o poi ribusseranno alla vostra porta come degli innocenti e candidi TeleTubbies da sparare a vista.
E perché? Difficile dirlo. Per noia? Del genere “Mah, tutto sommato non era così male”, almeno questo è un pensiero ragionato. Ma ci scommetterei il catenaccio dello scooter su come l’iniziativa venga presa in un raptus improvviso, generato dall’azione di scorrere in velocità la rubrica telefonica mentre si aspetta il tram, in fila al supermercato o mentre ci si trova seduti sulla tazza del cesso. D’altronde si sa, un tempo per non annoiarsi si leggevano le etichette di detersivi, shampoo e bagno schiuma, adesso non si entra in bagno senza telefonino. O magari l’ex di turno è uscito con qualche altro esemplare femminile e nell’inevitabile confronto, lei ha avuto la peggio, quindi perché non richiamare te? Un po’ come al supermercato di fronte allo scaffale dei dolci e varie: abbandoni le vecchie ciambelline integrali Misura a cui il tuo palato si è assuefatto da mesi per provare qualcosa di completamente diverso, non so, come delle Kinder Brioss alla ciliegia ad esempio. Vuoi non tornare a capo basso alle ciambelline? O forse si tratta di pentimento? Com’è che, se si sono comportati male, hanno pure il coraggio di rifarsi vivi? Senza ritegno, almeno facciano le cose a regola d’arte, non con saio e piedi nudi sprofondati nella neve, ma nemmeno investendoci solo una telefonata o peggio un sms. Illuminazione mistica? Questo è già più interessante e magari si può prendere in considerazione. La cosa più saggia sarebbe tagliare corto con un semplicissimo: “Hai bisogno di qualcosa?”. Morale: non tutte le ciambelline escono con il buco, ma se le adorate, è meglio tenersele in dispensa, per non finire come quel tal Enrico, perché qualcuno potrebbe non aprirvi.