26 October 2007

Occhio Pinocchio

C’è sempre tempo per ricredersi. Tempo per capire di aver commesso un errore, di aver avuto un atteggiamento sbagliato o una convinzione lontana dalla verità. Anni fa sono uscita con un ragazzo che non ha fatto altro che raccontarmi frottole dal primo giorno che ci siamo conosciuti. Il mio errore non averlo capito subito, il suo quello di essere troppo intelligente. Dopo aver letto un articolo pubblicato ieri sul magazine del Corriere, mi trovo a doverlo riconoscere. Sembra che maggiore è l’autoconsapevolezza di un individuo, migliore sarà la sua capacità di mentire. Secondo Paul Keenan, professore di psicologia all’Università di Montclair e sostenitore di questa teoria, un buon bugiardo dovrebbe avere un’intelligenza superiore alla media o una maggiore capacità di introspezione.
Io mento con difficoltà, anche se ogni tanto qualche bugia mi scappa. Mento con difficoltà perché quello che mi gira negli emisferi cerebrali si vede in faccia e quando riesco a nascondere quello che penso veramente, mi tradisco nel giro di poco tempo, dimenticandomi la balla raccontata pochi giorni o poche ore prima. Qualche volta mento per rendermi più facili le cose: perché mi è passata la voglia di uscire la sera, quando fuori sta diluviando e mi abbandonerei volentieri sul mio divano al caldo, quando invento un impegno nella pausa pranzo per non mangiare con il mio direttore, quando di fronte ai maglioni di una taglia in meno che mi regala mia madre il giorno di natale, dico che vanno benissimo. Sembrerebbe essere anche una questione di sopravvivenza. Lo è, a volte. È dimostrato che coloro che mentono surclassano alla grande quelli che dicono la verità. E per una volta non c’è differenza tra uomo e donna: mentono entrambi, spudoratamente. La donna però è più abile ad accorgersi delle falsità e Keenan chiarisce perché: “È una spiegazione evolutiva. Per la donna è importante conoscere le reali intenzioni dell’uomo che la corteggia e il possibile padre dei suoi figli”. Così, ecco dimostrato come le donne, in particolare modo le singole, siano più attente e più in grado di riconoscere la verità dalla menzogna. È una questione di antenne tenute all’erta, un po’ come il Grillo Parlante, per rimanere in ambito collodiano. Quanto poi, ti trovi più al di fuori di una situazione, tanto più vedi con chiarezza e consapevolezza le cose come stanno. Quindi, riassumendo… Tanto più sei intento a scoprire la verità, tanto più diventi consapevole. Se più consapevole, sei anche più intelligente. Se più intelligente, anche più predisposto a raccontare frottole.
Mi sembra una via senza uscita e senza speranza. Siamo condannati a prenderci per il culo. Iniziamo da piccoli: all’età di due anni siamo già in grado di formulare e confezionare al meglio una bugia; da adulti siamo capaci di raccontarne una al giorno fino ad arrivare addirittura a sei, più di quanto non ci si lavi i denti nell'arco delle 24 ore. Ora scappo perchè ho un impegno a pranzo...

22 October 2007

La donna invisibile non è così stronza

L’ultima volta che sono apparsi insieme in pubblico era il 14 luglio. Ma da lì a qualche mese, a rotolare giù dal patibolo non sarebbe stata la loro testa, quanto la loro lunga love-story. È una storia affascinante quella di Nico e Ceci, che meriterebbe un’ora di lezione interamente dedicata in un corso prematrimoniale (ma chi si sposerebbe poi?). Chi ben inizia è a metà dell’opera: Nico e Ceci si conoscono nel 1984 quando (attenzione, attenzione) Nico è sindaco di Neuilly e celebra il matrimonio di Ceci con Jacques Martin, un tale che passava di là per caso visto come sono andate poi le cose. Io provo a immaginare quest’uomo che porta all’altare la compagna, nella totale inconsapevolezza di portarla all’altare da qualcun altro, infatti, tre anni dopo Ceci si separa e va a vivere con Nico (non prima che le due coppie si siano frequentate a 4 per un certo periodo, per poi separarsi vicendevolmente a tarallucci e vino).
Chissà che fine ha fatto Jacques. Poteva immaginarsi che il giorno in cui firmava le carte del suo matrimonio, per qualche fenomeno paranormale, iniziavano già a materializzarsi quelle del divorzio? Non lo si crede mai fino in fondo, ma la vita è beffarda. Pensi di fare qualcosa per andare in una direzione e, tutto ad un tratto, ti trovi senza spiegazioni logiche dalla parte opposta. Ho pensato a lungo a Jacques e ci sono due possibilità: a) nello sconforto totale, può aver tentato il suicidio più volte senza riuscirci (perché la vita è beffarda), passando il tempo (su un cornicione, nel garage o sull’orlo di un precipizio) a dare della stronza a Ceci; b) può essersi risposato, questa volta però in chiesa; b) può essersi dato dello stronzo per essersi sposato proprio nel municipio di Neully fino al giorno in cui non ha letto della crisi annunciata dei coniugi Sarkò. A quel punto non ha più dato della stronza a Ceci, ma un po’ della zoccola.
A me Ceci non sta antipatica. Anzi. Semplicemente credo che non abbia fatto le scelte più azzeccate. E nella vita ci sta anche questo, ma lo scopri sempre quando ormai è tardi. Ceci decide di diventare moglie di Nico e di seguirlo come un’ombra in tutte le tappe della sua carriera politica: da ministro a leader di partito, oggi presidente della repubblica francese. E se non sbaglio, dietro un grande uomo di solito non c’è una grande stronza, ma una grande donna. Sì, una grande donna, in grado di tracciare la strategia politica del marito, di consigliarlo e di aiutarlo ad arrivare dove oggi sta. La donna che lavora dietro le quinte, l’ombra, la donna invisibile. Il 28 novembre del 2004 Nico diventa presidente dell’UMP, il partito del centro-destra. Questa volta lei c’è, e tra gli invitati al party politico c’è anche Richard Attias, un pubblicitario che fino a quel momento aveva avuto in mente solo di fare la festa a Nico, ma evidentemente non era del tutto soddisfatto dell’esito del party. Non passa un anno che Ceci e Rich si danno alla fuga a N.Y., la grande mela tentatrice. Nico intanto si consola con un’avvenente giornalista. Sarà lui lo stronzo della storia? Passa un altro anno e Ceci e Nico tornano insieme, ma niente happy-end: i signori Sarzò si sono separati in questi giorni e tra 45 giorni saranno belli che divorziati. Ceci può aver tradito il futuro ex-marito, ma non la sua natura invisibile. Non è più dietro le quinte. Adesso non c’è proprio. Sta marinando, uno dietro l’altro, gli impegni politici dove tutti si aspetterebbero di vederla presenziare. È così invisibile da non contare nulla neppure nella sua separazione: divorziare da un capo dello stato è costituzionalmente fattibile, ma solo se è lui a volerlo. La vita è beffarda. Speriamo di vederti in tribunale.

15 October 2007

Asilo (Del) Pieruccia: iscrizioni aperte

Non ho le gambe della Parietti, ma ogni tanto anche a me piace parlare di calcio. E se finora l’ho fatto solo con il mio amico benzinaio, come succede da un anno a questa parte ogni qualvolta l’Inter segna i tre punti in classifica, oggi mi permetto di farlo su questo Blog. La verità è che spesso il calcio è davvero intrigante anche per noi ragazze. È anche per questo che un cartone animato come Holly&Benji, qualora rientrasse nel palinsesto di Mediaset, ancora oggi inchioderebbe davanti allo schermo televisivo centinaia di over trentenni. E non solo perché ci giocava quel figo di Julian Ross. Qualche maschietto avrà da dire che più che il calcio ci piacciono i giocatori, obiettando che di sicuro non abbiamo visto un episodio di Shingo Tamai. È vero, ma se è per questo, non mi sono lasciata scappare neppure quel capolavoro di “Sognando Beckham”, dove non ci sono che ragazze, una sorta di Mimì e le ragzze della pallavolo, ma con calzettoni e parastinchi.
Il calcio ci piace, certi calciatori pure, ma non quelli che fanno piagnistei continui. Settimana scorsa ne ho lette di tutti i colori, cominciando da un certo Dida, protagonista di una sceneggiata napoletana su campo scozzese: durante la partita con il Celtic, invade il campo un tifoso locale che colpisce il portiere rossonero con un buffetto sulla guancia. Dida incassa il colpo, muove qualche passo per rincorrerlo, ma si accascia subito a terra con le mani al volto; di lì a poco è portato via in barella con tanto di borsa del ghiaccio sulla guancia. Per un buffetto? A terra così non si sarebbe gettato neppure il più piagnone dei bambini che frequentavo a 5 anni nella vasca della sabbia al parcogiochi. “Probabilmnete ha esagerato” ha detto qualcuno e, infatti, guarda a caso si è beccato due giorni di squalifica. Può succedere, lui neppure è fortunato visto che già in un’altra occasione aveva avuto a che fare con dei petardi sulla capoccia.
Poi c’è Alex (o Sandrino). Lui se l’è presa per la panchina a Firenze e si è offeso con Ranieri; poi tra una pubblicità e l’altra tra passeri e gazzeladre, non ha preso bene l’esclusione dalle convocazioni azzurre del Cipì Donadoni, per la partita di sabato scorso contro la Georgia. Per non parlare della società che indugia nel rinnovargli il contratto in scadenza. Sandrino, ragiona, prima che ti veda sbattere i piedi a bordo campo, quando dovresti invece usarli in campo.
Negli ultimi tre anni in serie A, hai giocato per intero 17 partite su 83; che poi andassi a una festicciola in maschera vestito da zebra, sono fatti tuoi, ma i numeri cinguettano chiaro. Poi non è che puoi metterti a decidere dove e come giochi. Non è che, siccome sei stufo di fare il centrocampista esterno, puoi decidere tu di fare la punta. Scusa, ma quando giochi a Risiko che fai? metti i carrarmatini come ti girano dove vuoi tu?
La vita di uno sportivo, si sa, non è troppo lunga (Julian Ross aveva anche problemi al cuore). Si inizia a giocare ad alti livelli ben prima dei 20 anni ed è comprensibile che non si arrivi a 40 anni con le stesse prestazioni e soprattutto con gli stessi risultati. Cìò non toglie che uno sia stato un grande campione, ma un buon giocatore sa anche quando è il momento di appendere gli scarpini al chiodo (per ora, non è ancora il tuo caso, Sandrino) o quando è il momento di farsi un po’ da parte per dare spazio anche ai più giovani, smettendo di fare la prima donna (questo è il tuo caso invece). Non che le testate siano una trovata geniale per l’abbandono della carriera, ma qui tra svenimenti e lacrime, finiamo per giocare con le Barbie.

12 October 2007

The sleeping beauty: una strega innocente (II)

Non lasciatevi fuorviare dall’orchessa qui a lato, capirete più avanti. Dove eravamo rimasti? Ah sì, la nostra fata presa considerata aveva lanciato la maledizione e un’altra fata si era intromessa aggiungendo la postilla che se la bella addormentata fosse stata svegliata dal lungo letargo da un giovane principe, si sarebbe ripresa.
E così accade. La principessa, intorno ai sedici anni, si punge con un fuso e si addormenta, e con lei tutti gli abitanti del castello rimangono in balia di questa crisi narcolettica collettiva. Finché un giorno, un principe-passante si ritrova al capezzale della bella addormentata e la risveglia da questo torpore letargico. E qui tutti penserebbero che la storia è bella che finita, ma è qui che viene il bello! E vissero felici e contenti, non è quello che si può scrivere a questo punto del racconto. Principe e Principessa mettono su famiglia, due pargoli chiamati Aurora (come la figlia di Ramazzotti) e Sole. Il principe aveva tenuto nascosta la sua neo-famiglia alla madre (la nonna di Aurora e Sole) che proveniva da una famiglia di orchi; infatti, temeva di risvegliare in lei qualche strano appetito nei confronti del nipotino.
Un giorno il Re muore e il principe, a questo punto padrone del regno, deve rendere pubblica la sua situazione famigliare. Da non credere che un intreccio simile, che lascerebbe di sasso anche gli autori di Incantesimo o di Vivere (che però è morta), sia potuto passare nella testa di Perrault.
Ed è solo a questo punto che viene fuori il personaggio malvagio della storia. Non certo la povera Vecchia Fata, ma l’Orchessa che non ci pensa due volte a ordinare al capocuoco del castello di sgozzare dapprima i due bambini e in seguito la madre, per mangiarseli in salsa Robert (non me lo sono inventata io, è proprio Perrault che scrive salsa Robert). Tutto è bene quel che finisce bene, i tre sfortunati non finiranno nelle fauci della nonna-orchessa grazie al buon animo del capocuoco, e lei finirà divorata da serpenti, vipere e rospi. La Vecchia fata, altro non ha fatto che subire un torto dal Re e dalla Regina del castello che non l’anno invitata al battesimo della nascitura, un torto dai paesani che l’avevano dimenticata in cima a una torre per cinquant’anni circa, anno più anno meno, e un’accoglienza indegna al banchetto. Avrà fatto anche un incantesimo poco simpatico, ma come dargli torto?

Ps: l’orchessa non è quella della foto, quella è Fiona, compagna di Shrek, ma non ho trovato niente di meglio.

Ps2: Salsa Robert
Fate rosolare a fuoco basso una cipolla con 30g di burro in una casseruola; bagnate con il vino bianco e lasciatelo evaporare quasi completamente prima di aggiungere il brodo caldo (che si suppone abbiate già preparato precedentemente). Se la cipolla non si è disfatta del tutto, passate la purea al setaccio. Fate cuocere a fiamma moderata ancora per 10min. Amalgamate bene in una ciotola il burro rimasto con la farina e aggiungeteli al resto. Da questo momento continuate a mescolare con la spatola di legno e fate cuocere altri 15min, prima di unire 1 cucchiaio di senape. Mescolate con cura e servite. Roba da orchi.

11 October 2007

The sleeping beauty: una strega innocente (I)

“C’era una volta un re e una regina ch’erano tanto dispiaciuti di non aver figli, ma tanto dispiaciuti da non potersi dir quanto. Tutti gli anni andavano nei più diversi luoghi del mondo a far la cura delle acque; voti, pellegrinaggi, ricorsero a tutto, ma nulla giovava. Alla fine però la Regina si mise ad aspettare e mise al mondo una bambina”. Inizia così una delle più celebri favole di Perrault, La Bella Addormentata nel Bosco. Finora di streghe neanche l’ombra, ma perché vengano chiamate in scena le Fate non c’è da aspettare molto. Infatti, il giorno del battesimo della principessina, a far da madrine alla piccola, vennero chiamate tutte le fate che si riuscirono a trovare in paese (ce n’erano 7), perché ognuna facesse un regalo alla bambina, com’era quel tempo l’usanza delle Fate. Dopo il battesimo si organizzò un banchetto in onore delle Fate dove “il posto di ciascuna era stato apparecchiato con splendide posate, in un astuccio d’oro massiccio, ov’erano cucchiaio, forchetta e coltello d’oro finissimo, tempestati di diamanti e rubini”.
E qui, il colpo di scena.
"...mentre che tutti stavano prendendo posto, si vide entrare una vecchia Fata, che non era stata invitata, perché da oltre cinquant’anni non usciva più dalla sua torre, e tutti la credevano morta o incantata. Anche a lei il Re fece dare una posata, ma non ci fu modo di presentargliela in un astuccio d’oro massiccio, come alle altre, perché egli ne aveva fatti fare solo sette, tanti quante le Fate. La vecchia credette che la si volesse umiliare, e borbottò fra i denti qualche minaccia”.
Mi metto un attimo nei panni di questa vecchietta, presentata dall’autore come una Fata, un po’ in là con gli anni, ma pur sempre una fata. Questa vecchia viene dimenticata nella sua torre per più di 50 anni senza che nessuno nel paese si sogni di andare a vedere se è ancora viva e vegeta o se di lei è rimasto giusto qualche osso. Un po’ come succede ai giorni nostri, quando si legge a caratteri cubitali: “Deceduto da due settimane, trovato sulla poltrona del salotto” (se è morto, non si sposta) e nell’articolo: “i vicini da casa insospettiti dall'odore diffuso per scale e pianerottoli e disdicevole per l’androne della palazzina hanno chiamato il 112”.
Tornando alla favola in questione, chi non se la sarebbe presa? Non invitata al banchetto, con l’aggravante che di lei, a nessuno importasse un piffero in verità. E dopo il danno la beffa. La vecchia Fata si presenta al banchetto, ma per lei non c’è nessun astuccio d’oro. Un po’ come arrivare a un allegro convivio ed essere fatti accomodare sullo spigolo del tavolo con una tovaglietta di carta da Self-Service e un piattino di plastica improvvisati. Alla sottoscritta sarebbero un po’ girate, e anche alla Vecchia Fata. Tanto che, al momento di fare i doni alla Principessa “questa disse che la Principessa, si sarebbe punta una mano con un fuso e ne sarebbe morta”. A tentar di porre rimedio alla maledizione accorre un’altra fata che lancia la profezia un po’ alla Mago Otelma: la giovane Principessa si sarebbe punta sì con un fuso, ma sarebbe solo caduta addormentata per un periodo di 100 anni finché il figlio di un re non fosse venuto a svegliarla. La nostra vecchia Fata compare così solo al principio della storia, che prosegue secondo i fatti annunciati...

ma continuo domani... :-)