19 December 2007

Curare con 50mg di virtuale al giorno

Prima di oggi, su questo blog ero solo una pancia: verde ma reale (la motivazione del colore va ricercata qui). Oggi ho deciso di mostrarmi per come sono: questa mattina sono scesa dal terzo vagone della metropolitana sulla linea due (che in verità non prendo, ma in questo post c’è poco di reale), mi sono fermata davanti a uno di quei container improvvisati per fare foto tessere in tre minuti ed eccomi qui, più virtuale che mai. Virtuale o reale? Questo è il dilemma. Da sempre sostenitrice della necessità di doversi schierare da una parte o dall’altra nel momento in cui ci si trova di fronte a una scelta, un bivio… questa volta mi trovo in difficoltà.
È meglio il virtuale o il reale? Se per molte cose e in molte situazioni ho sempre sostenuto che sia indispensabile tenere i piedi ben piantati a terra, essere dei realisti puri, sono convinta che il virtuale abbia dalla sua, una funzione fondamentale nella vita di ciascun individuo. Ma è un po’ come con l’aspirina: prima dell’uso leggere attentamente le avvertenze. In caso di necessità consultare il medico. Virtuale è sano, purché non se ne abusi. Va preso nelle giuste dosi e, in qualche caso, può anche guarire dal reale. Viaggiare con la mente, fuggire dalla realtà, immaginare, sognare, progettare: tutte attività che non hanno controindicazioni.
Anzi. Difficile che tutto ciò che viviamo nella vita di ogni giorno ci gratifichi pienamente, ci soddisfi, ci faccia veramente felici. Riuscire a spostare lo sguardo su un’alternativa, una che non sia per forza cosa tangibile, elemento reale del presente, può essere una valida ed efficace via di fuga. La regola non deve essere quella di dover affrontare di petto ogni aspetto del reale che incontriamo sulla nostra strada, a volte la fuga può indurre a staccare per un attimo le piante dei piedi da terra, aiutando anche a liberarsi da fastidiose zavorre. Come sub che si regolano in assetto positivo o negativo in acqua. Il contatto con la superficie di terra o mare, la profondità delle cose dove trovarmi li decido io; così, se oggi voglio vivere più nel reale che nel virtuale o più nel virtuale che nel reale, in assetto positivo, mi adeguo secondo ciò che più mi conviene o mi fa stare bene.
Virtuale non è solo un nickname, un avatar, una pagina su Facebook o Second Life. Virtuale è tutto quello che si immagina, tutto quello che c’è in ogni angolo della propria testa, ciò che ancora non si è attualizzato, ma che può trasformarsi in reale. Tutto ciò che è personale e privato al 100 per cento, che si può condividere con qualcuno oppure no. Virtuale è il sogno, il desiderio, il progetto non ancora realizzato. Oggi difendo il virtuale, perchè chi non è capace di sognare è spacciato.

14 December 2007

Aspettando il terzo tempo...

Una serie A a diciotto squadre, una B a venti. Tagli e diritti televisivi. Non devono essere mancati gli argomenti di cui parlare al Consiglio della Lega Calcio di ieri pomeriggio. Ma che cosa avranno poi detto sul terzo tempo? Sono curiosa di sapere come riusciranno a imporre ai giocatori di stringersi la mano a fine partita e a darsi una pacca sulla spalla, come prevede la lodevole forma di fair play che tanto piace ad Antonio Matarrese.
Sia chiaro. L’iniziativa del club di Della Valle non può che raccogliere consensi e, vedere i nerazzurri e i viola salutarsi gaiamente a fine partita come nel paese dell’arcobaleno di Iridella ha lasciato tutti compiaciuti e soddisfatti; ma che il terzo tempo possa essere regolamentato sui campi di serie A e B con l'inizio del nuovo anno la vedo difficile. La regole del fair play volevano essere applicate già negli anni passati, ma chissà perché, qualcosa non funzionò e agli appuntamenti sul campo da gioco (e anche fuori) sputi, insulti, spintoni e testate non sono mai mancati.
Che tutto diventi un cerimoniale obbligatorio mi sembra assurdo. Certo vedere i giocatori trattarsi civilmente durante e a fine partita, molto probabilmente spingerebbe anche i riottosi in tribuna a controllarsi di più, ma mi metto al posto di un giocatore. Se mi trovassi in campo a dover sopportare per novanta minuti un avversario fastidioso come un moscone? Uno di quelli che ti sta addosso come una piattola per marcarti ad ogni azione, uno che magari si fa scappare qualche insulto a tua sorella. Cacchio faccio? Gli stringo la mano a fine partita? Quando avevo le articolazioni in migliori condizioni giocavo a pallavolo e a fine partita c’era il rito del passaggio a rete con tanto di stretta di mano con le giocatrici avversarie: volavano certi schiaffi… ed eravamo solo ragazzine che giocavano nel campionato di Under 16.
Il mio senso utopico personale mi spingerebbe a sperare che i giocatori, allertati dallo spirito natalizio del buon Matarrese e senza arrivare a vere e proprie regolamentazioni da parte della Lega Calcio, almeno ci provino a stringersi la mano o perlomeno a comportarsi civilmente in campo. Ma se deve essere un’imposizione, credo che il gesto sportivo perda tutto il suo significato, che non abbia più senso. Le regole ci vogliono, la buona educazione pure, ma in questo caso occorre un esame di coscienza da parte dei giocatori. E ancora una volta, anche da parte di molti tifosi.