27 June 2007

Dove sono finite le strafighe?

Eccola lì. Appena fuori dalla caffetteria dell’università ad aspettare qualche compagna di corso o compagno passa-appunti prima che inizino le lezioni. Perfetta, già alle nove del mattino. Make-up impeccabile, senza neppure un segno indelebile sulla tempia, lasciato dal cuscino durante la notte.
Se non le avessi visto piegare i gomiti ieri mattina, la continuerei a scambiare per Barbie Malibu, con le braccia fisse a novanta gradi. Le braccia. È lei. La rappresentante di una categoria unica dell’entourage universitario, la Specie delle strafighe dell’ateneo.
Impossibile non notarle. Le strafighe dell’ateneo, proliferano soprattutto nelle facoltà di Comunicazione, Pubbliche Relazioni, Lingue e letterature straniere e Architettura. Insomma, tutte quelle facoltà che un domani non serviranno a un corbezzolo nel mondo del lavoro.
Per dare un’idea su come identificarle, le strafighe discostano poco da come potrebbero apparire una Misha Burton di O.C., una banalissima Sienna Miller, una Paris Hilton o una Britney Spears dei tempi migliori, comodamente sedute al tavolo del refettorio, a prendersi un cappuccino con brioche vuota per non sforare dal conteggio calorie permesso nell’arco della giornata. Per loro vige il divieto assoluto di presentarsi a lezione, con qualcosa fuori posto: in università ci si arriva come se ci si stesse preparando per un happy-hour in corso Como a Milano o una serata all’Hollywood, indispensabile che ogni capo di abbigliamento indossato sia firmato e all’ultima moda e che il look sia studiato in ogni particolare.
Sul loro rendimento alle sessioni di esame, so poco. Sulle loro sessioni di recitazione so qualcosa di più. Soprattutto quando nel bel mezzo di un esame orale, quando le cose iniziavano a mettersi male, la strafiga di turno si esibiva in lacrime da coccodrillo ben calibrate.
Il punto è: dove sono finite tutte queste strafighe?
A parte una a caso, Sara Tommasi, che è finita sull’Isola dei Famosi e sulla copertina di Max con un calendario da 110 con Lode, tutte le altre che fine hanno fatto? Lavoro da quasi dieci anni (santo cielo), e non mi sembra di averne viste così tante in giro, tra una fotocopiatrice e un fax - che poi adesso sono sempre integrati nella stessa macchina -, nei vari uffici dove sono passata.
Diverse le opzioni a cui ho pensato:

a) Sono tutte a casa. Ossia, non hanno terminato la Facoltà nonostante le lacrime elargite ad ogni esame, si sono maritate per sistemarsi e giustamente, fortuna o sfortuna loro, sono a casa propria a vedere la De Filippi tutto il pomeriggio. In pratica, fanno le mantenute.

b) Hanno fatto tutte carriera. Ed è chiarissimo il motivo per cui non le vedo.

c) Sono diventate brutte tutte di un colpo. Un po’ come succede per tutte quelle stangone dei paesi nordici, che da ragazzine sono da copertina (di rivista), ma per qualche scherzo della natura a un certo punto iniziano ad allargarsi in modo spropositato. Un po’ come è successo ad esempio a qualche elemento delle Spice Girls, se ben ricordo.

Altre opzioni?

18 June 2007

Ho messo alla luce una lucertola

Stanotte ho fatto un sogno davvero molto strano. Uno di quei sogni che appena sei sveglio ti lasciano sbigottito per mezza giornata e quasi imbarazzato nei confronti del tuo inconscio. Quando dormo, e sogno, capitano cose particolari. Mi basta pensare l’ultima volta che ho sognato di avere un rapporto sessuale con Gennaro Gattuso, pur essendo di fede neroazzurra, o quando mi ritrovavo a fare un test di gravidanza e il risultato era questo: :-D. Sì, proprio questo: :-D. Ovvero un test di gravidanza che si prendeva la libertà non solo di darmi la lieta novella, ma anche di prendermi spassionatamente per il culo per la sfiga avuta.
Ad ogni modo, stanotte devo aver sognato la seconda parte dell’episodio test di gravidanza con esito :-D. il problema è che nel sogno non avevo procreato un bambino, bensì un essere che assomigliava più a una lucertola. O un camaleonte. Insomma qualcosa che assomigliava un po’ al testimonial dei Sofficini Findus, Carletto.
Ma l’orrore non finisce qui. Devo aggiungere altri due particolari.
1) Nel sogno l’esserino è stato bene fino a che la madre snaturata (la sottoscritta) non si è dimenticata di dargli da bere, causando il suo rinsecchimento repentino e trasformandolo in una sorta di fossile o essere imbalsamato. Nel sogno, riuscivo a porre rimedio, dopo un attimo di panico che ha posseduto tutti i presenti (gli attori presenti in questa dream-opera), innaffiandogli con acqua le fauci e facendogli riprendere pian pianino il suo stato corporale normale. Era un Lui, si è capito. E come potevo chiamarlo se non con il nome della persona con cui ho condiviso recentemente, ma anche meno recentemente, certi affari privati e intimi? No, non si chiamava Gennaro ovviamente.
Premesso che prima di ieri notte non ho mangiato pesante, tanto meno Sofficini, e non ho guardato documentari di National Geographic sui draghi di Comodo, quali motivi sensati ha il mio inconscio di propormi in seconda serata questi terribili sogni? Ho pensato a varie opzioni:

1) Desiderio di gravidanza accompagnato da stati confusionali di paura (di procreare una lucertola), inadeguatezza (stava per morire disidratato) e anche un po’ schifo (i rettili non posso proprio vederli).

2) Influenza data dal libro letto di recente di Carlos Castaneda “A scuola dallo stregone” dove il protagonista dopo aver preso funghi allucinogeni e peiote, si cimenta con la hierba del diablo (altra sostanza leggera leggera) e si dedica a un rito con delle lucertole, dopo aver loro cucito diligentemente con ago e filo occhi e bocca (devo capire come ha fatto visto che io ho delle difficoltà semplicemente con il punto croce).

3) Tutto giustificato da una voglia irrefrenabile di mangiare Sofficini, quelli agli spinaci in particolare. Allora, sono incinta?!? No mamma, stai tranquilla. Il fatto è che i Sofficini non sono assolutamente contemplati da nessuna dieta ipocalorica, quindi credo di averli più mangiati da quando frequentavo la seconda elementare.

Ho ritrovato pace interiore nello scoprire che sognare una lucertola è interpretato come un simbolo di adattabilità e resistenza alle situazioni. sono a posto, ma se il produttore di Visitors non avesse fatto questo sogno prima di me, avrei lanciato una proposta a Mediaset per una serie più intrigante rispetto a quella che è Nati Ieri.
Per adesso mi limito a giocare i numeri al lotto…

12 June 2007

Cogito ergo...

Nel suo Principia philosophiae, Cartesio esprimeva con la locuzione Cogito ergo sum la certezza priva di ogni dubbio che l’uomo avesse di sé stesso in quanto soggetto pensante. Cartesio basava la sua filosofia sul cosiddetto dubbio metodico, che consisteva nel dubitare di ogni affermazione, ritenendola falsa in un primo momento, nel tentativo poi di scoprire principi o massime che risultassero indubitabili e su cui basare il principio della conoscenza. Un atteggiamento che mi spesso mi ritrovo a condividere di fronte a promesse, affermazioni e tesi sostenute dal mio superiore sul lavoro, quando si ruota intorno al tema promozioni e bonus. Ad ogni modo, Cartesio si dibatteva tra dubbi e perplessità varie, in una costante visione scettica di tutto ciò che aveva attorno. Un po’ di tempo fa mi trovavo a conversare con il caro zio Franco in una pausa post prandiale dedicata a digerire un succulento fritto misto piemontese preparato dall’amica americana di mia zia di Torino (qui le contraddizioni sono uniche, ma la vita gira tutta così). Mio zio è una persona molto singolare: un’intera vita dedicata alla giurisprudenza, al momento di ritirarsi in pensione si è dedicato alla professione di attore teatrale. Orbene, in questo scorcio di campagna, in questo ambiente bucolico dove avremmo potuto disquisire in tuniche e sandaletti a mo’ di antichi greci, affrontavamo temi che spaziavano dalla filosofia moderna alle trascendenza, dal misticismo all’oroscopo di Branko; fino a quando, guardandomi con aria interrogativa lo zio Franco non ha enunciato: “Cogito ergo sum”. Vedendo la mia perplessità dipinta in viso, ha continuato: “Cogito ergo sum. Penso dunque sono. Ma cosa vuol dire? Penso dunque sono uno stronzo. Caso mai sarà Sono dunque penso, no?”. La mia espressione in viso è rimasta la medesima ma, a pensarci bene… posso dargli torto? Purtroppo, la scelta di portare Storia al posto di Filosofia agli esami della maturità, ha scavato nel mio bagaglio culturale enormi lacune di conoscenza della materia, per cui non chiacchiererò qui né altrove, se non nel giardino della casa degli zii, di questioni filosofiche; tuttavia il Penso dunque sono stronzo, mi convince sempre di più. Tutto questo pensare, costruire congetture, immaginare, dibattersi tra quello che è vero e quello che è falso. Vale la pena? È di qualche utilità? Non è semplicemente uno sfracellamento di maroni per dirla in modo comprensibile e diretto? In un’epoca in cui si spendono migliaia di euro in corsi di yoga e training autogeno, dove le meditazione sembra poter riportare l’individuo alla pace interiore e soprattutto dove viene predicato che la meditazione sia l’assenza di pensiero, che accipicchia mi metto a fare? A pensare? L’assenza di pensiero non è impossibile. Ci sono semplici azioni quotidiane che conducono alla pace interiore. La mia vicina di casa quando è nervosa pulisce la cucina, dal piano cottura all’ultima anta della dispensa. Io lavo i piatti con lo Svelto alla mela verde. Ma c’è anche chi raggiunge calma e serenità nella pulizia dell’argenteria, nel fare la maglia o nel concedersi uno shopping sfrenato, anche di sabato pomeriggio in un centro commerciale gremito di schizofrenici. A ciascuno il suo metodo, ma sono tutte azioni il cui comune denominatore è l’assenza di pensiero. Lo stesso Osho parla del running come una forma di meditazione e non l’ha pagato la Nike. E non mi sembra neppure uno stronzo. Dunque non pensa.
Ora pero’ ho un po’ di confusione in testa.

P.s.: mamma, guarda che ho comprato solo la lavatrice.

05 June 2007

Ore 00.00: punta la centrifuga

Questa mattina mi sono svegliata grazie alla centrifuga della mia lavatrice. Non ho avuto neppure bisogno di mettere la sveglia sul cellulare, il solito motivetto Rooster con gallo isterico, che tuttavia mi fa tanto di vita da campagna, e mi fa sentire un po’ Heidi (purtoppo non la Klum) ogni mattina.
Ad ogni modo, il fatto di puntare la centrifuga e non la sveglia è la conseguenza dell'acquisto recente di una lavatrice programmabile. Una meravigliosa lavatrice programmabile.
Nell’ultimo mese sono stata presa da una frenesia compulsiva in acquisti di elettrodomestici di ogni tipo e genere che ha portato il mio ego frustrato ad attingere dalla carta di credito per l’acquisto, in ordine alfabetico per marchio, di: un passapomodoro dell’Ariete, una scopa elettrica con microfiltrazione a sette livelli Hoover, una multicentrifuga Simac e un ferro a vapore con sistema anticalcare permanente della Termozeta.
Il problema è che fanno di tutto per farti acquistare anche quello che non puoi permetterti: buoni acquisto, finanziamenti a tassi zero, "Compra oggi e inizi a pagare nell’autunno del 2010"; tutto poi per trovarsi indebitati con il mondo intero. Ma è più forte di me: se mi trovo da Mediaworld o Saturn, io mi sento proprio su un altro pianeta. Settimana scorsa ho davvero esagerato, dando fondo ai miei risparmi e acquistando la lavatrice. Una Indesit modello WISL 66, profonda solo 40 centimetri. Naturalmente classe efficienza energetica A, capacità di carico 4,5 kg e velocità di centrifuga 800 giri. Un bolide. Ma la vera ragione per cui l’ho comprata è la funzione Delay Timer. Con questa opzione è possibile programmare l’accensione della lavatrice: si prepara il carico, si imposta il ciclo e la macchina si mette in funzione da sola all'ora prescelta in base ai propri comodi. In pratica ho scoperto che puoi ritardare l’accensione di due, quattro, sei o nove ore (perché non otto, non mi è chiaro, visto che sembrava tanto una sequenza di multipli di due… bah); così ieri a mezzanotte mi sono trovata a decidere se farla partire alle due, alle quattro, alle sei o alle nove del mattino. Unica opzione possibile, le sei del mattino, motivo per cui la centrifuga ha coinciso perfettamente con la mia sveglia quotidiana. Già, perché ogni volta che imposti il tuo lavaggio tra mille opzioni (temperatura, posticipi e ritardi, intervalli e pause per riprendere fiato, esclusioni centrifughe, scioglimacchia, risciacqui, cazzi e mazzi), sei anche informato sull’effettiva durata del lavaggio.
Saranno stati contenti i mie vicini, direte voi, ma suvvia, alla fine queste lavatrici ipertecnologiche non fanno neppure troppo baccano. Mi piacerebbe tuttavia dare un freno a questa frenesia indisciplinata in elettro-acquisti, perché già sogno di svegliarmi con la centrifuga, di trascinarmi carponi in cucina dove un tostapane mi ha già tostato a dovere due fette di pane, un bollitore elettrico ha già preparato un tazza di caffè americano, mentre la radio, chiaramente ad accensione automatica regolata sulla lavatrice giunta all'ultimo stadio (non di vita si spera), fa da sottofondo alla mia colazione programmata.
Sarà solo pazzia, un eccesso di pigrizia o un desiderio inconscio di programmare la propria vita? Se effettivamente è vero che la vita è tutto quello che accade, quando avevi programmato qualcos’altro, allora il semplice fatto di avere l’illusione di programmare anche un banalissimo (anche se senza libretto delle istruzioni non ce la fai) lavaggio Special Sport per capi sintetici da palestra forse può essere una soddisfazione.