29 May 2007

Anche le lingue di gatto fanno la differenza

Due giorni fa era il mio compleanno e qualche fedelissimo lettore di questo blog mi ha fatto notare che non ne è stato fatto cenno alcuno.
Ringrazio il cielo che sia capitato di domenica, onde evitare festicciole imbarazzanti in ufficio. Di solito si svolgono ed esauriscono in trenta minuti, dalle 12 alle 12.30, prima della pausa pranzo. Si crea un cerchio di colleghi silenti intorno al vassoio di pasticcini portato dal celebrante, a cui i presenti ammiccano di continuo con aria famelica (al vassoio, non al celebrante). Ebbene sì, non amo particolarmente festeggiare i compleanni. Quelli degli altri sì, il mio no. Nella mia lunga vita, infatti, ho festeggiato solo due volte: i 10 e i 16 anni.
A dieci anni considerai che valesse la pena celebrare il primo decennio di vita, ma passai tutto il pomeriggio a preoccuparmi se gli amichetti invitati alla mia festa si stessero divertendo oppure no. A sedici anni, i miei compagni di liceo mi fecero una festa con una teglia di lasagne portata in classe a sorpresa a fine lezione. Fu un compleanno perfetto, da ogni punta di vista, per la presenza degli amici più cari, per il fattore sorpresa e per le lasagne e in questa occasione compresi quanto non fossi portata per organizzare festicciole, ma piuttosto per parteciparvi.
Da piccola, infatti, apprezzavo particolarmente le feste degli altri bambini, soprattutto quando entrando a casa loro, riuscivo già a intravedere in cucina il tavolo imbandito dalla padrona di casa (la mamma del festeggiato).
Quello che mi faceva impazzire letteralmente erano i panini al latte, quelli tondi, imbottiti di salame, mortadella o prosciutto cotto, con tanto di bandierina delle varie nazioni del mondo conficcata in cima. A qualche festa, a fianco a un vassoio stracolmo di cannoncini alla crema, bignè, fiamme al cioccolato, funghetti di meringa e le più sobrie lingue di gatto, si poteva trovare anche, avvolto nella carta stagnola, il salame al cioccolato. Quello sì, che faceva la differenza.
Poi mi ricordo ogni tipo di bevanda gassata e non: Coca-Cola, Fanta, Sprite facevano da regine, ma a qualche festa si trovava anche la Lemonsoda e la cugina Oransoda, il Chinotto e la Sanguinella. Che fine abbia fatto la Sanguinella non si sa, sugli scaffali del supermercato non si trova più. A mio parere il nome stesso della bevanda non è stata una grande trovata del brand manager che possa essersene occupato a suo tempo.
E poi c’erano i vari giochi da fare in casa. Da certe feste i bambini uscivano accaldati e sudati come cavalli da corsa. Il primo passo verso il delirio totale era togliersi le scarpe. Non ho mai capito perchè questo accadesse, ma quando arrivavano le mamme, più raramente i papà, a raccattare i loro pargoli scalmanati, prima di tutto si cercavano le scarpe in giro per casa, poi ci si preoccupava di coprire a dovere con maglioncino e giubbetto la creatura sudaticcia prima che si prendesse un malanno uscendo dal parco di divertimento casalingo. Era usanza allontanarsi dalla casa con un certo bottino consistente in penne e matite colorate di Hello Kitty, gomme da cancellare con riproduzioni di Goldrake, temperamatite di Holly Hobbie e vari stravaganti gadget, distribuiti come premi ai vincitori dei vari giochi. Se eri uno sfigato, a casa ti portavi solo il regalino di consolazione, ma se eri un po’ in gamba potevi farti su la cancelleria per l’intero anno scolastico.
Qualcuno ha ancora l’idea balzana di chiedermi perché non festeggio? Che senso avrebbe senza tutto questo? Potrei festeggiare senza Sanguinella, salame al cioccolato, panini al latte con bandierina del Giappone e gommine di Goldrake? E poi festeggiare cosa? Di essere arrivata viva a #!&!?@ anni? Alla fine credo che si festeggi proprio quello: “Giubila, sei ancora in vita!”
Altrimenti continuo a non vedere il motivo di festeggiare gli anni che passano. O forse, da un punto di vista meditativo-spirituale, è bene festeggiare gli anni che passano perchè ci porteranno a un‘altra vita un po’ meno gravosa, senza torte da smaltire e candeline che non si spengono quando esaudisci un desiderio.

P.s.: Achille festeggia gli anni il 2 aprile.

09 May 2007

Torna a casa Achille

Forse non lo fanno tutti, ma è dimostrato che i gatti che, fagotto in spalla prendono l’uscio di casa, poi tendono a tornare indietro. Un po’ come gli uomini. Achille lo fece un giorno, ma giusto per farsi un giro sul tetto di casa. Tornò dopo appena venti minuti, forse solo e quando si rese conto di aver sbagliato la via di fuga e di non aver imboccato la porta che dava al pianerottolo.
Il fenomeno dei gatti che ritornano a casa percorrendo distanze abissali lascia tuttavia abbastanza sbigottiti, tanto da portare anche il mondo scientifico a pronunciarsi in merito alla questione. Di fatto, si tratta di un fenomeno che trova poche spiegazioni, a meno che non lo si faccia ipotizzando la presenza di capacità sensoriali nei felini. Partendo da questa idea, tale Michael W. Fox, da non confondere con l’attore protagonista di Ritorno al futuro e figlio modello di Casa Keaton, avrebbe enunciato la tesi della “Dissonanza fra ora solare e ora interna” nella spiegazione del cosiddetto “Homing”, ovvero della capacità di ritrovare la strada per ritornare a casa. Secondo tale teoria, sembra che il gatto sia in grado di “leggere” la luce del sole, traducendola, in base all’inclinazione e alla polarizzazione dei raggi solari, in ore e stagioni. Il gatto confronta questi valori con il proprio orologio interno tarato al chilometro quadrato nel quale identifica la propria abitazione. Così, la discrepanza fra l’orario esterno e quello interno guidano il gatto fino alla porta di casa: se tale gap aumenta, la direzione è sbagliata, al contrario il gatto è sulla retta via. Il limite di tale ipotesi sta nel non spiegare come i gatti ciechi (quelli fatti dalla gatta frettolosa), sordi o gravemente menomati riescano ugualmente a ritrovare la strada di casa.
La teoria dei Behoviaristi, forse ancor più spregiudicata di quella di Fox, attribuisce il merito delle capacità di orientamento alle vibrisse che, lontano da essere una nuova marca di yogurt arricchito con fermenti lattici e bifidus attivo, rappresentano una sorta di recettori che, captando gli impulsi magnetici attivano nel gatto un congegno per l’ecolocazione. Tuttavia sia la teoria della “dissonanza” che quella del “magnetismo” non riescono a fugare tutti gli interrogativi che ogni volta ci poniamo quando i gatti effettuano imprese del genere. Il motivo per cui certi uomini ritornino indietro ancora mi sfugge, e tra l’altro non viene spiegata con teorie basate sull’ecolocazione o sull'Oming (?) per esempio. Tornando ai gatti, forse ha ragione Joseph Wylder, autore di Psychic Pets, quando afferma che il rapporto del gatto con il cosmo è determinato in parte dalla luna, in parte dal soprannaturale e da tutti quegli aspetti dell’universo che noi umani non riusciamo a comprendere. Chissà che proprio i gatti, nel loro stato di qui e ora, senza preoccupazioni temporali di ciò che è avvenuto in passato e ciò che dovrà avvenire in futuro, non riescano ad avere un rapporto più diretto con il soprannaturale. Lo stato mentale di un gatto non fa una grinza: mangiano, bevono, dormono e giocano. Sono indipendenti e non temono la solitudine. Oltretutto non sembra abbiano cognizione del tempo, non hanno aspettive, non vivono l’attesa e vivono nel presente in assenza di pensieri. E trovano anche la strada di casa.

04 May 2007

Sciopero mezzi: se andassi a pescare?

Tornerà a splendere il sole. Ma solo lunedì. Previsioni meteo per oggi: pioggia debole in mattinata (ma sta diluviando), coperto nel pomeriggio, pioggia in serata e coperto stanotte. Domani? Temporale. Oggi, che avrebbe piovuto, si sapeva. Se viene indetto uno sciopero dei mezzi pubblici a Milano, puoi star certo che diluvia e che con ogni probabilità, stasera mangerai pizza (vedi post “E se mangiare una pizza aiutasse i neuroni alfa?”).
Il dilemma della giornata è: come recarsi al lavoro?
Prima opzione: uso i mezzi pubblici negli orari permessi, ossia entro le 8.45 e prima che i tranvieri si rimettano in sciopero alle 17, ora in cui scatta il rientro a casa per tutti gli impiegati di ufficio e varie a Milano. Questa opzione dà la certezza di arrivare sul posto di lavoro, purtroppo ci si arriva isterici. Prova a farti 21 fermate di metropolitana compresso come in una scatoletta di sardine e, se hai la fortuna di trovare un posto a sedere, con l’ombrello del pendolare che ti sta di fronte, immerso nei suoi pensieri, puntato addosso e che ti gocciola sul ginocchio per l’intera durata del viaggio.
Seconda opzione: recarti al lavoro in macchina. Prima o poi, in ufficio, ci arrivi, nonostante le macchine che procedono a passo d’uomo per automobilisti terrorizzati dal fenomeno acquaplanning e nonostante i vetri appannati che tenti di disappannare con la ventola dell’aria calda. L’effetto immediato ottenuto non è ovviamente quello che ti eri prefissato bensì una sorta di hammam turco fai-da-te nel tuo veicolo, con conseguente formazione di funghi e batteri e curiose forme vitali primordiali che ritroverai al volante all’uscita del lavoro, pronte a ricondurti a casa. In pratica, hai chiesto due ore di permesso per giustificare il fatto che sei arrivato alle 11, e chiederai altre due ore di permesso per uscire alle 16 in modo da evitare il traffico del rientro, oltre al fatto che il continuo strombazzare delle forme primordiali impazienti di tornare a casa, ti avrà ormai infastidito al punto di massima sopportazione.
Terza opzione: le due ruote. La Coppa America si potrà fermare per la pioggia, ma un motociclista che si traveste da pescatore di tonni non lo può fermare nessuno. Stamattina ho preferito lasciare nella sua confezione di plastica la mantellina gialla regalatami dal benzinaio di fiducia (volevo evitare l’effetto svolazzante da supereroe motorizzato), e optare per la cerata ricevuta con l’abbonamento annuale di “Pescare Carpfishing”. La scelta d'altronde era tra la cerata verde militare, il Manuale della Pasturazione e il ricettario “21 maniere per cucinare la Trota”, ma visto che a pasturare ho ingranato e non mi piace la trota, la cerata sembrava l’omaggio più consono.
E, infatti, sono arrivata in redazione asciutta, quasi. Ho riscontrato qualche problema solo nella tenuta delle mie scarpe da ginnastica: evidentemente le Adidas Stan Smith sono state progettate solo per giocare a tennis, negli anni '70. Temo che dovrò valutare un abbonamento aggiuntivo a “Il pescatore d’acqua dolce” per accaparrarmi un paio di stivali da pesca, che passino indenni la traversata in moto di certe pozze infingarde in cui è impossibile non imbattersi per strada e soprattutto, per non avere più i piedi freddi fino a sera. La prossima volta vado a pescare a Basiglio.