30 August 2007

Bom Dia comunidade

Portogallo. Non ci sono mai stata. Mai prima di questa estate. E non so esattamente cosa mi abbia spinto a pensare al Portogallo come meta delle tanto agognate e sospirate vacanze fantozziane di agosto ma, una domenica mattina, mi sono ritrovata su una poco accomodante poltroncina dell’Air Tap, destinazione Lisbona.
Se tre settimane fa mi avessero detto Portogallo avrei fatto delle poco edificanti e piuttosto banali associazioni mentali. Avrei pensato a quel gran gnocco di Luis Figo, maglia numero sette neroazzurra e il cui nome non lascia molti dubbi in proposito al suo aspetto. Poi vediamo… il Benfica (dove Luis però non ha mai giocato), sentito nominare in Champions League o nella Coppa UEFA. E il Porto, squadra di calcio e liquore, quest’ultimo assaggiato per la prima volta a otto anni, quando in un ristorante puntai senza indugio il dito su Melone al Porto, sulla carta del menu. Tale fu la mia risolutezza che neppure i miei genitori provarono a convincermi a prendere qualcosa di più leggero e appropriato a una bambina di quell’età. Così buono che nella recente visita in terra portoghese, mi ci sono dolcemente abbandonata tra panini spalmati di burro e olive nere, non abbastanza per assorbire il quantitativo alcolico e crollare a letto poco più tardi. E poi il baccalà. Mai mangiato, ma quante volte si è sentito dire per dare del mezzo idiota a qualcuno. Povero baccalà, è solo merluzzo seccato e messo sotto sale, nonché piatto tradizionale portoghese rifilato in tutte le salse. In due settimane ne ho mangiato a sufficienza per un anno intero: baccalà mantecato, baccalà alla livornese con polenta e ceci, baccalà alla vicentina, baccalà al coriandolo, baccalà vatteloapescà...
Infatti non è il baccalà che mi manca, tantomeno il Porto; se proprio mi trovassi in crisi etilica o in piena saudade, esco di casa e vado all’Esselunga di Cologno Monzese a comprarmi una bottiglia di Lancer o Mateus e dei bastoncini Findus.
No. Quello che mi manca è qualcosa di diverso. E, usando parole che non sono mie, ma in cui ritrovo tutte le sensazioni che sto vivendo, “è il ricordo di una cosa positiva che ora non è qui con me ma, nello stesso tempo, lo è ancora”. Il desiderio di vivere ancora qualcosa di bello e profondo, che per qualche strano motivo non è più con me, ma che so esserci ancora. È là, esiste ancora, è vivo e tangibile; solo che, ironia della sorte, per gli scherzi che ci riserva di continuo la vita, ci viene portato via non appena ne abbiamo vissuto e gustato l’essenza. Non è rimpianto, non è nostalgia, non è neppure tristezza. È un’attesa, una speranza in qualcosa di bello che si può incontrare di nuovo. La verità è che ti accorgi di quanto ti manca solo quando non ce l’hai più. Come tutte le cose. Quando ti manca un cielo blu che ti avvolge sopra la testa, l’odore dell’oceano, le spiagge sconfinate, le casette bianche dai bordi gialli e blu, le espressioni della gente che incontri per strada. Occhi e sguardi che non puoi più dimenticare.

03 August 2007

UNICO, il mago di CAF (III)

Dov’eravamo rimasti? Ah sì, ad aspettare trepidanti un Codice Pin via posta per accedere al meraviglioso mondo di Fisconline e dichiarare così i propri redditi, in modo da vedere qualcosa di reso dopo solo cinque anni. Ebbene, la chiave di accesso è arrivata: un giorno esatto prima della scadenza della consegna (con una password già scaduta da cambiare al primo accesso Area Telematici, un plug-in java da scaricare e da ricercare con un lanternino nel mondo virtuale dell’Agenzia delle Entrate). Non stiamo a guardare il pelo nell’uovo: c’è chi si sollazza con il Sudoku sotto l’ombrellone a luglio, come inganneresti altrimenti il tempo, tu che rimani in città? Codici fiscali convertiti in cifre, password, pin, un misterioso Codice Utente che non hai mai ricevuto per e-mail ma che, semplicemente chiamando il Numero Verde scopri trattarsi del tuo Codice Fiscale (non convertito però in caratteri numerici, questa volta). La chiave di accesso ai problemi c’è sempre, basta cercarla (o aspettarla per posta). A volte serve a se stessi, a volte ad aprire le porte dove qualcuno si trova rinchiuso. Chi si ricorda di Commander Keen? Io ci ho giocato sul computer per una buona sessione di esami all’università, sottraendo tempo prezioso alla preparazione degli stessi. Era un omuncolo sperduto in una terra indefinita che doveva salvare un numero imprecisato di monaci rinchiusi in luoghi di arduo accesso come grotte, sotterranei e anfratti (almeno questa era la mia versione). Io mi sono arenata al primo schema e ho salvato solo un monaco rinchiuso in una caverna di ghiaccio, dopo essermi munita di chiave d’accesso e aver superato piogge di fuoco, oggetti contundenti ed esseri dal brutto aspetto, sufficientemente accaniti nel volermi convincere con le buone o le cattive a non raggiungere il fraticello in questione. Prova e riprova, alla fine dello schema in qualche modo ci arrivi, la difficoltà sta nel trovare la via giusta. Se poi è il monaco a trincerarsi dietro una porta, non c’è verso di aprirla. Peggio ancora se le tre vite te le sei giocate tutte e non hai un bazooka per tirare giù la porta. Anche perché, a ben pensare, sfondando la porta ammazzeresti anche il monaco. È tempo di andare in vacanza, per me e per Achille. Lui, al solito, andrà al Gattile “Porgi una zampa” (Post del 2 gennaio 2007), la sua destinazione preferita per trovare un po' di pace e relax dallo stress di essere un gatto, io me ne andrò al mare. Sono certa che a settembre avremo un mondo di cose da raccontarci…


“Quest'anno vado prima al mare
così ho tempo per pensare
e faccio scorta di pensieri che non bastano mai
ne voglio quattro sull'amore,
due sul fatto che si muore,
non commetterò più errori giuro…”

Daniele Silvestri "Frasi da dimenticare"