Ho visto Freud imballare una Samsonite
Esistono diversi tipi di viaggiatori. E questa, è la cosa più ovvia che potessi scrivere, perché basta guardarsi attorno in un qualsiasi aeroporto per capire che è proprio così, sulla base del fatto inconfutabile che esistono diversi tipi di persone. Il mondo è bello perché è vario. Ma tra i viaggiatori la prima distinzione si evidenzia subito dal tipo di bagaglio con cui si accompagnano. Nell’immediato, a quanto è grande o piccolo, ma questa è distinzione riproposta anche in altri ambiti.Un nota compagnia low cost spagnola ha adottato come misura cautelativa al check-in un contenitore di metallo dove cercare di incastrare il proprio bagaglio a mano: se entra può essere imbarcato, se non entra viene spedito. Immaginate con quale forza e prepotenza, il viaggiatore medio intenzionato e motivatissimo nel non spedire il proprio bagaglio, se la piglierà con il contenitore in questione cercando in tutte le maniere di spingerci dentro uno zaino Invicta da 50l. Distinzione successiva, sul contenuto. Prima delle vacanze ho avuto il piacere di leggere articoli e vademecum a proposito del "Pronti a partire? Ecco cosa mettere in valigia". I consigli di solito si sprecano sul piccolo Pronto Soccorso da viaggio che occorre mettersi in valigia nel caso dovesse accadere il peggio. Sarò un po’ fatalista, ma se in un anno mi prendo in media un raffreddore, un mal di gola e due o tre attacchi di mal di pancia, quante probabilità (o sfiga) ho di prendermi qualcosa in solo due settimane di vacanza. Non importa. I previdenti si muniscono di aspirine, tachipirina, analgesici a effetto imediato e una purga. I più ipocondriaci ci aggiungono due boccette di disinfettante per il cavo orale, una profilassi delle infezioni uretrovescicali e due o tre varianti di inibitori del tratto intestinale, dall’Imodium al Dissenten, per evitare l’immobilità da dissenteria. Tanta attenzione per quello che si mette in valigia ma non per quello con cui si ritorna. Non penso a quegli affascinanti e indispensabili ninnoli di avorio per cui, senza pensarci troppo, vengono abbattuti troppi elefanti, ai rametti di corallo spezzati impietosamente da un barriera corallina, a conchiglie e chincaglierie varie importate per il piacere di sostituirle alle candele colorate di Ikea. Penso a quello che si può trovare in un viaggio, luoghi e persone. Soprattutto persone. I luoghi si possono sempre rivedere, le persone si possono perdere.
Possono rimanere là dove si sono conosciute. O semplicemente possono tornare da dove sono venute, come del resto facciamo un po’ tutti. Partire per tornare, sempre. In valigia le fotografie, in testa i ricordi, nel cuore le emozioni. Tutto con l’illusione di ricordarsi sempre, di tenere sempre vivo il ricordo. Di mantenere in piedi amicizie e relazioni, sperando che il contorno sia sempre lo stesso, quando non potrà più essere così. Ho trovato un amico, l’ho perso al ritorno. Divisi nel momento in cui ognuno ha preso in mano il proprio bagaglio. Cosa ci fosse all’interno lo abbiamo scoperto solo una volta tornati a casa, quando lo abbiamo aperto.
Un volo di sola andata, grazie. Per smettere di perdere persone per strada.
si dice che Chi in viaggio perde il biglietto del ritorno, in verità, non vuole tornare

Abitudini ormai consolidate da anni. Riti osservati ormai scrupolosamente ogni giorno. Tentazioni soddisfatte e innocenti strappi alla regola che deliziano la vita ordinaria. Ognuno di noi rispetta, ogni giorno, modeste consuetudini che in qualche modo addolciscono l’esistenza. Io le chiamo celebrazioni di me stessa. Un po’ come se mi premiassi da sola per quello che sono e che faccio ogni giorno. Non per essere egocentrica o megalomane ma, se non ci penso io, non credo lo farà il mio editore, così mi porto avanti e lo esimo da questo compito. Di recente nella mia lunga lista di piaceri che mi concedo quotidianamente, approfittando di una promozione di 10 giorni, ho introdotto Oresette del Corriere. Puntuale alle 7 del mattino, da un paio di giorni trovo il quotidiano infilato nella buca della cassetta della posta. Sublime sarebbe riceverlo direttamente sullo zerbino di casa, ma a breve conto di convincere qualche vicino di pianerottolo, per accrescere l’adesione condominiale al servizio e motivare l’omino di Oresette consegnandoli le chiavi del portone di ingresso per una consegna collettiva. A quel punto potrei aprire la porta di casa, raccogliere il giornale e sedermi a colazione senza molestare più del necessario il mio apparato muscolare. Per adesso sono costretta a scendere quasi in strada, in uno stato di dormiveglia imbarazzante per me e per chi ha la sfortuna di incontrarmi.